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Angolo
della Poesia di Lia Gori |
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Da ´CASSANDRA LA BELLA´ e Altre Cose
Seppur lo eleggi a tuo maestro, colui che tanto concepì d´ Atlantide, e d´ altre attonite Repubbliche, ella sappilo, ti smentirà, adesso,
l la vita immane nel suo corso, zeppa d´ acerbe voluttà, lo stesso, ella giovenca, tu sul dorso, non lo sai ma ti ha già morso.
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Cala la rete, Pietro, io sono colui che posso, io e il Padre, lo stesso, nitidi come vetro.
Cala la rete, Pietro, ma se avvilito non farlo, conosco quel tuo tarlo, ciò che c´ è dietro.
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Tragico, fu il confronto, tra i flutti alla fine del mondo, sotto stelle nitide e aspre, sotto flagelli e giostre,
fra l´ anime mie diverse, e il Signore, delle tempeste. Da allora, io inghiottito, io Giona mai risalito
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Qui eccoci Socrate, ansiosi secondo l´ accordo di ieri - sulle bianche scalee, là uno schermo d´ ulivi profondo, qui suadenti le tue panacee. Tu che vìoli l´ abisso del tempo, per noi così greve, a te tutto t´ è chiaro, quasi vico spazzato dal vento, o vetro soffiato sapiente, ma tu nemmeno puoi quello, da un morbo sanare il fanciullo, d´ un sopruso risolvere il caso, ristabilire rotto quel vaso.
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Un viandante - non un aedo, di quotidiane stoccate un esperto, ora fuggo da quello che vedo, troppo mi ero già aperto. E´ un gioco che dura da molto, la caccia all´ uomo diverso, di mezzo dev´ essere tolto, dev´ essere sperso
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Sul bordo non ero là quel giorno, gremito dell´ acque dall´ Angelo mosse per dare salute alla gente intorno. Ahimè non ero là quel giorno, chinato sull´ acque grosse, io colmo ma dentro di bende. O Cristo pietoso le nostre tende rendici monde, vinci soffuso il Deserto - il Refuso, accogli l´ eterno Escluso.
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Ho bussato a tutte le porte, (aperte chiuse socchiuse) ho provato in tutte le lingue, (anche in quelle morte) ho percorso tutte le rotte, (le battute le solitarie) le preci tutte le ho dette, (le canoniche le gnostiche) le lacrime tutte versate, (le profane le sacre) le vivande tutte provate, (le magre le grasse) e finalmente ho capito, (non il modo ma il mondo) da cui Egli è fuggito.
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Città di marmo ed alghe, tutta incommensurabilmente rivolta altera a Oriente, le tue principesse tu le sovrasti o Venezia, conio d´ acque alte, eppur son belle, dal finissimo grembo che d´ ori è urlo e d´ onde e pantere, e se fosse in mio potere te schianterei! - salvandole, al lume preferendole della tua luna...
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Come ammirevole l´ incontro di due frecce, a mezz´ aria stupite del prodigio così ciò a noi accadde. Qualcosa si toccò, si ruppe... Tu mitica radice, un dedalo io nativo. Successo l´ impossibile.
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Dicevo: non mi lasciate sorelle, parole tanto amate, mio conforto, non mi lasciate in queste celle da solo in mezzo al torto! Nudo il dettato vostro, caparbio, non fu capito: chi gestisce il chiostro usa spesso un solo dito, romano falco - giù dall´ alto, lui dal pollice impunito! eguali il reo, il santo, e l´ ospite ferito.
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O tu dal becco giallo, merlo primaverile fremito, dall´ edera al sentiero tu divaghi umido, del tuo geloso che t´ appartiene. Ed è il vermicello, e son le poche briciole, ed è quel vento che t´ avvera trepido, podere per nulla minimo, o femminile plettro, estatica vocale!
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A coloro che in futuro verranno, a quei pochi dal burrascoso sguardo, buio capestro di rovere e vento, radente lapideo battente, a quelli - senza pace, incommensurabilmente, per cui il Tempo è relazione fra Croce e Croce - a quei pochi il mio invito d´ acerbo tacere vada. Qui il Simbolo è pericolo, la bugia è ragione...
Emidio Montini |
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